Un meccanismo molecolare della mania

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 05 dicembre 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La pazzia, signore, se ne va a passeggio per il mondo

 come il sole, e non v’è luogo in cui non risplenda.

[Marcuzio in Romeo e Giulietta di Shakespeare]

 

Lo scorso anno, un uomo anziano vestito in modo eccentrico e visibilmente esaltato ed eccitato in uno stato mentale differente da quello prodotto dall’alcool o da droghe psicostimolanti, fece irruzione in Palazzo Vecchio fra lo stupore dei presenti, declamando con voce alta e potente endecasillabi danteschi da sé modificati in vernacolo per inveire contro gli “inquinatori del mondo, del senno e dell’Arno” e annunciare la buona novella della sua venuta quale “salvatore delle coscienze, dei cuori e delle acque”, essendo lui “pronto ad ogni prodigio ed artifizio che dona pace e leva il malefizio” per ristabilire una “felicità priva di tasse, tosse e creditori!”. Incuriosiva e divertiva i turisti presenti, particolarmente quelli stranieri che, non comprendendo le parole, dovevano averlo preso per un istrione in cerca di pubblico. Ma poi la sua eccitazione entrò in un crescendo tachilalico, in cui era evidente che il flusso inarrestabile di parole, ormai sempre più infarcito di termini turpi, trucidi e gratuitamente volgari, era andato più veloce di ogni possibile filo di senso, rivelando a tutti la sua follia.

Quell’esperienza mi aveva brutalmente ricordato che una persona con quel genere di crisi di eccitazione psicotica non ha coscienza di malattia e, se non ha nessuno che la porti dallo psichiatra, rimanendo senza alcun tipo di trattamento andrà ciclicamente incontro ad episodi simili, che saranno verosimilmente sempre più gravi col passare del tempo.

Oggi non si parla quasi più di “crisi di mania” e di psicotici “maniaci” ossia pazienti sofferenti di stati di ipereccitazione cognitiva, ideomotoria, verbale, psicomotoria, neurovegetativa, affettiva ed emozionale, con uno sviluppo eccessivo e disordinato di energia e con “passaggi all’atto” aggressivi e distruttivi fino alla “furia pantoclastica”, secondo l’antico e classico prototipo del “pazzo”. Non se ne parla perché, nella massima parte dei casi, lo psichiatra che riesce ad insegnare strategie per prevenire le crisi e a prescrivere trattamenti efficaci nel contenere le manifestazioni più gravi, scopre quasi invariabilmente che il paziente va incontro a periodi depressivi e, dunque, diagnostica un disturbo bipolare. La “mania monopolare” della vecchia nosografia sembra che costituisca una rara eccezione.

Nonostante decenni di studi e l’esistenza di istituzioni e fondazioni specificamente dedicate alla ricerca delle cause di questi disturbi, finora non si è pervenuti a dati di conoscenza soddisfacenti. Le difficoltà in questo campo di indagini sono dovute al fatto che si cercano le cause specifiche di un quadro clinico, ma l’insieme dei sintomi potrebbe essere espressione aspecifica di una perdita di equilibri funzionali dovuti a cause differenti.

Se si legge la ricerca nel campo della psichiatria molecolare alla luce di questa possibilità, si comprende che l’individuazione di alterazioni geniche in grado di determinare da sole nell’animale una fisiopatologia simile a quella della sindrome da eccitazione funzionale umana, riveste il massimo interesse, perché fornisce tracce su possibili meccanismi che mediano il rapporto fra un difetto genetico e uno stato di alterazione che interessa tutto l’organismo. A questo ambito appartiene uno studio che ha indagato le conseguenze del deficit di sinaptotagmina-7 ed è stato presentato alla comunità neuroscientifica da Fred (Rusty) H. Gage, noto genetista impegnato in passato nello studio della neurogenesi nel cervello umano e della rigenerazione neurale, quando è stato interlocutore della nostra società scientifica.

(Qiu-Wen Wang et al. Synaptotagmin-7 deficiency induces mania-like behavioral abnormalities through attenuating GluN2B activity. Proceedings of the National Academy of Sciences USA - Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2016416117, 2020).

La provenienza degli autori è la seguente: State Key Laboratory of Membrane Biology, Tsinghua-Peking Center for Life Sciences, IDG/McGovern Institute for Brain Research, School of Life Sciences, Tsinghua University, Beijing (Cina); Department of Brain and Cognitive Sciences, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA); Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, CA (USA); Center for Brains, Minds and Machines, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA); McGovern Institute for Brain Research, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA).

Non tutti gli studi del passato sulle grandi sindromi psichiatriche sono da considerarsi carta straccia o, all’estremo opposto, brani di rilievo letterario che appartengono all’epoca mitica della psichiatria e interessano più gli storici della medicina che i medici della mente dei nostri giorni. Dalle accurate descrizioni della sintomatologia, dai minuziosi diari clinici e dallo sforzo di interpretazione secondo schemi razionali della fenomenica psicopatologica, possiamo ancora imparare qualcosa.

È questo proprio il caso dell’eccitazione maniacale: anche pervenendo alla conoscenza di tutta la sequenza di alterazioni molecolari responsabili del disturbo in tutti i casi clinici, se non si vuole esporre il paziente ai rischi di dosaggi elevati e ricorrenti di farmaci di fase acuta su un fondo di trattamento cronico basato sulla repressione farmacologica dei sintomi, si devono conoscere le caratteristiche del funzionamento mentale e delle componenti neurosomatiche, per poter insegnare al paziente strategie e tecniche per prevenire l’escalation che innesca i circoli viziosi di autoalimentazione delle crisi acute[1]. Si può ancora, come si faceva un tempo, cominciare con la lettura di Melanconia e Mania di Binswanger, poi passare all’esame di diari clinici e “casi clinici ragionati” e assistere a colloqui di psichiatri esperti con persone affette.

È molto importante conoscere la persona tachipsichica in tutti gli aspetti considerati dalla semeiotica psichiatrica, perché le crisi di mania possono verificarsi in personalità differenti con gradi e qualità diverse di disturbo psichico. Il professore Bruno Giuliani, nelle sue lezioni sull’argomento, riferiva di aver avuto un paziente, poi diventato suo amico, che in tutta la vita aveva avuto un solo episodio di eccitazione maniacale su un fondo di personalità perfettamente fisiologico.

Qualche cenno storico sulle origini del concetto di mania aiuta ad entrare nell’argomento coloro che non sono psichiatri.

Nel Settecento il termine mania si adoperava genericamente per indicare la follia intesa come malattia mentale o comportamento stravagante, estremo, irragionevole o incomprensibile e immotivato; ma andava affermandosi anche un altro uso del termine, sia popolare che letterario, che qualificava come patologica un’attitudine, una tendenza, una condotta o un’abitudine (“ha la mania di”). In quest’ultimo senso si riferiva più a un sintomo che alla personalità nel suo complesso, ossia – per dirla con Monica Lanfredini – apparteneva più all’ordine del “ciò che si ha” che a quello del “come si è”. Questo senso ha lasciato traccia sulle pagine degli odierni dizionari nelle parole composte in cui il lemma ha ruolo di suffisso: tossicomania, piromania, grafomania, cleptomania e così via[2].

Nell’uso medico, prima dell’adozione quale termine del gergo specialistico, si fa strada il valore semantico di stato acuto e critico di sconvolgimento della funzione psichica, caratterizzato dalla perdita della funzione di controllo razionale e morale ordinariamente esercitata dal soggetto sano. Questa accezione sottende i primi lavori di classificazione di Pinel (1802) ed Esquirol (1816) e successivamente, come risulta costantemente da saggi e documenti posteriori al 1850, mania diventa sinonimo di crisi psichica caratterizzata da acuzie e intensità sintomatica. Tale definizione compare negli scritti di J. P. Falret, Baillarger (1854), Magnan (1890) e Kraepelin (1899), che la descrivono come fase di eccitazione della psicosi periodica o maniaco-depressiva[3].

Il significato di “crisi di eccitazione” rimane invariato nelle analisi di Karl Abraham (1911) e Freud (1915) che, nonostante il limite di ricondurre l’origine del disturbo secondo le tesi della psicoanalisi a meccanismi psichici inconsci, ha il merito di attrarre l’attenzione sulla possibilità di alterazioni comuni alla base di quelli che, nel linguaggio psicodinamico, erano definiti i due poli della reazione distimica. La considerazione in termini di “disturbi del tono dell’umore” costituiva un definito passo in avanti rispetto alla concezione secolare della follia quale perdita della ragione. Lo studio strutturale attraverso l’analisi fenomenologica condotto da Binswanger (1932) contiene elementi di semeiotica del disturbo che ancora oggi rientrano nei criteri di diagnosi.

La concezione di mania corrente e prevalente fra gli psichiatri si può dedurre dalla definizione di episodio maniacale nel disturbo bipolare I riportata nel DSM-5: “Periodo di umore abnormemente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile e di accresciuta attività o energia abnormemente e persistentemente diretta verso uno scopo, che duri almeno una settimana e che sia presente la maggior parte della giornata, quasi ogni giorno”[4].

Manca il riferimento, considerato di estrema importanza dalla nostra scuola neuroscientifica, della partecipazione dell’assetto funzionale di tutto il corpo, prevalentemente nell’espressione neurovegetativa, neuroendocrina e psiconeuroimmunologica di stati emozionali ed affettivi apparentemente indotti da aumento di frequenza e intensità dell’attività sinaptica delle principali reti neuroniche cerebrali, con aumento della velocità centrale di elaborazione, ma verosimilmente espressione di potenziamento reciproco fra sistemi in un regime di amplificazione ciclica e reciproca[5].

Rimandando ad altre sedi e circostanze una più compiuta esposizione dell’argomento, ritorniamo al lavoro qui recensito.

Numerose evidenze indicano che la sinaptotagmina-7 (Syt7) ha un ruolo importante nella genesi di anomalie comportamentali del topo considerate equivalenti del disturbo bipolare dell’uomo. Le prove sperimentali sono sufficienti per non dubitare di tali evidenze, per cui si indaga la patogenesi molecolare dell’oscillazione bipolare legata a questa proteina sinaptica. Finora, non sono emersi dati che supportino alcuna delle ipotesi di lavoro in campo per l’individuazione dei processi molecolari alla base delle attività dei sistemi neuronici dell’omeostasi umorale.

Qiu-Wen Wang e colleghi coordinati da Jun Yao hanno accostato a questo problema un altro quesito irrisolto, ossia su quali meccanismi si basa la promettente efficacia degli antagonisti dei recettori del glutammato NMDA (N-metil-D-aspartato), come la ketamina, nel trattamento della fase depressiva del disturbo bipolare.

I ricercatori, definito il programma di ricerca, si chiedevano per quali ragioni, a differenza degli antidepressivi che determinano un’iper-correzione del basso livello del tono dell’umore, i farmaci agenti sui recettori NMDA presentano solo una moderata efficacia clinica.

Wang e colleghi hanno identificato polimorfismi di singolo nucleotide (SNP) di Syt7 in pazienti affetti da disturbo bipolare e hanno dimostrato che topi mancanti di Syt7 o esprimenti SNP presentavano una disfunzione di GluN2B-NMDAR, che portava conseguenze comportamentali antidepressive ed evitava l’effetto di iper-correzione da parte degli antagonisti dei recettori NMDA.

Nei neuroni derivati da cellule staminali umane pluripotenti indotte (iPSC) e nei neuroni ippocampali del topo, Syt7 e GluN2B-NMDAR erano localizzati nella regione periferica delle sinapsi e Syt7 innescava molteplici forme di rilascio del glutammato per attivare efficientemente i GluN2B-NMDAR giustapposti. Così, mentre il deficit di Syt7 e gli SNP inducevano disfunzione di GluN2B-NMDAR nei topi, i neuroni iPSC-derivati dai pazienti affetti da disturbo bipolare presentavano ipoattività di GluN2B-NMDAR indotta da difetto funzionale di Syt7 e “guaribile” grazie all’iper-espressione di Syt7.

Questi dati consentono deduzioni risolutive sui meccanismi molecolari implicati: i deficit di Syt7 inducono comportamenti simili alla mania nei topi, attenuando l’attività dei GluN2B, che consente agli antagonisti dei recettori NMDA di evitare l’iper-correzione del tono dell’umore.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-05 dicembre 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] L’apprendimento delle tecniche sviluppate dal nostro presidente è alquanto complesso e richiede un training con altri psichiatri esperti che fungano, come attori, da pazienti. Ad esempio, la tecnica dei “dossi per rallentare il flusso”, non consiste – come è stato detto – in uno “Stop and Go” ma in un indurre un piccolo cambiamento mentale, richiamando l’attenzione su un particolare, un modo, una prospettiva non in contrasto con il filo logico del paziente, ma in grado di integrare in chiave informativa l’oggetto del suo pensiero. In questa interlocuzione, sempre discreta e misurata, è fondamentale la percezione di posizione empatica dello psichiatra da parte del paziente; al di fuori di questa intesa la tecnica non funziona e non si deve applicare, perché potrebbe alimentare l’irritazione. Durante l’applicazione, che sarà sperimentata ed esercitata in fasi di compenso lontane dalle crisi, lo psichiatra potrà valutare la flessibilità di base di cui dispone il paziente e considerarla nella costruzione della tecnica personalizzata. Le parole, i gesti, e gli atti dello psichiatra, in questa pratica, non devono mai essere vissuti dal paziente come un ostacolo all’espressione verbale del suo pensiero, perché il mancato feedback automatico che giunge al cervello da questo canale può favorire o scatenare il “passaggio all’atto” aggressivo o distruttivo.

[2] Ossia categorie comportamentali che la psichiatria del secolo scorso riportava al concetto di psicopatia, definendo psicopatici coloro che ne erano affetti.

[3] Cfr. Henri Ey, P. Bernard e Ch. Brisset, Manuale di Psichiatria, p. 248, Masson Italia, Milano 1983.

[4] Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5, fifth edition, p. 124 (TdA), American Psychiatric Association, Washington D. C. 2013.

[5] Secondo il nostro presidente, l’interruzione di questi circoli viziosi di potenziamento sarebbe alla base dell’efficacia preventiva di tecniche di rilassamento associate a pratiche motorie che, di fatto, creano assetti funzionali che innalzano la soglia di attivazione di alcuni importanti sistemi che partecipano al potenziamento reciproco necessario per mantenere uno stato di diseconomia caratterizzato da un dispendio energetico altrimenti non sostenibile. In modo simile, ma meno fisiologico, agirebbero alcuni farmaci in grado di prevenire le crisi di eccitazione.